venerdì 13 luglio 2012

WHAT THE FUNK - Soul Train pt. 2



Nel 1973 negli Stati Uniti è in atto una vera e propria rivoluzione culturale, sociale e politica, e la trasmissione giovanile Soul Train, ideata e condotta 
da Don Cornelius, non ha paura di affrontare temi scottanti nonostante 
sia un programma incentrato sulla musica. D’altronde, come disse l’anarchica femminista Emma Goldman, “Se non si può ballare, 
non voglio far parte della vostra rivoluzione”.

Entrando nella sua terza stagione, Soul Train era ormai un programma cult, con un seguito fedele, un’identità ben precisa ed un format collaudato. Era arrivato il momento di commissionare una canzone per il tema dello show, che sostituisse il brano usato finora Hot Potatoes, originariamente cantato all’inizio degli anni 60 da King Curtis e poi riregistrato per la prima stagione dello show dallo stesso 9 anni dopo come Soul Train (Hot Potato) e in seguito dal gruppo The Rimshots come Soul Train 1&2







Questa volta la sigla doveva essere un pezzo originale, composto apposta per il programma, e per scriverlo Don chiama i suoi amici produttori Gamble e Huff, storico duo responsabile del cosiddetto “Philly Sound”, uno stile particolare di funk & soul della Philadelphia, che muove i primi passi in direzione della disco. Il risultato, suonato dalla band di Philadelphia appunto, MFSB (Mother Father Sister Brother) e cantato dai Third Degrees, è un brano più moderno, ballabile, a cavallo tra funk e boogie, perfetto per un “Soul Train Line”.  

Il nuovo irresistibile tema della trasmissione è sulla bocca di tutti e Gamble e Huff premono per farlo uscire su vinile. Forse troppo protettivo del nome dello show o forse poco lungimirante, Don acconsente solo a condizione che la canzone non si chiami Soul Train, una decisione di cui si pentirà. Ri-intitolato TSOP (The Sound Of Philadelphia), il singolo degli MFSB entra subito in classifica, vendendo oltre un milione di copie e raggiungendo il primo posto nelle vendite nell’Aprile del 1974. 

Nel frattempo il paese è in fermento; le conseguenze della guerra in Vietnam, la povertà nei ghetti, la disoccupazione, il razzismo. Soul Train non si fa cogliere impreparato, e Don invita giovani personalità politiche come Jesse Jackson, attivista e leader del movimento per i diritti civili, come ospite dello show, divenuto ormai piattaforma importante per parlare ai giovani americani e alle famiglie afro-americane e di altre minoranze. 

L’impegno sociale non si riversa solo nella scelta degli ospiti, Don trova anche altri modi creativi per incorporare nel programma messaggi di “black pride”, ovvero orgoglio nero. Come per esempio nel segmento di gioco “Scramble”, in cui coppie di ballerini della cosiddetta “Soul Train gang” giocano contro il tempo per ordinare lettere sparpagliate su un cartellone in modo di comporre il nome dell’ospite musicale o di un’icona afro-americana, come gli attivisti Julian Bond e Harriet Tubman, o il primo nero a diventare giudice della Corte Suprema Thurgood Marshall.

Di fatto, il gioco era truccato, Don era intenzionato a diffondere un’immagine positiva degli afro-americani e non intendeva correre rischi di figuracce. Rientrava in questa logica anche il rivoluzionario accordo di sponsorship con la Johnson Products, che produceva prodotti per capelli come Afro sheen, indirizzati specificatamente al mercato nero. Per la prima volta in TV veniva rinforzata l’idea che il nero era bello, che i capelli naturali tenuti ad afro fossero un dichiarazione di orgoglio etnico.  
In uno spot divenuto celebre, il fantasma di Frederick Douglass, ex-schiavo del 1800 divenuto oratore, riformatore, scrittore e figura chiave del movimento Abolizionista contro la schiavitù, visita un giovane ragazzo nero per rimproverarlo sullo stato della suo afro, che invece dovrebbe curare (con Afro Sheen) per riflettere la fierezza di essere neri. Ma il messaggio rivoluzionari di Soul Train si traduceva anche dietro le quinte, dove il personale era composto quasi esclusivamente di afro-americani.  

Alla conclusione della sua terza stagione infatti, Soul Train era diventato un vero e proprio business, neri che producevano neri, senza il supporto di un bianco, e Don era diventato uno dei più influenti uomini afro-americani negli Stati Uniti, un modello positivo da imitare, un riferimento per i futuri imprenditori neri. Siamo all’apice della sua carriera e della popolarità del programma. Il lento declino di ambedue, li trovate nella terza ed ultima puntata di questa storia nel prossimo numero di Junks!
Jada Parolini
 
Articolo estratto
da Junks Magazine (luglio/agosto 2012): 
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